GIULIANO PAGNOTTA*
“RELAZIONI” E VISIONI *
Un’opera al cui lettore non si renderà necessario
adottare alcun tipo di lente per cogliere appieno la realtà
rappresentata. Domenico di Palo ce la riporta già così
com’è: distorta, ambigua, frammentaria, incoerente e
talvolta amara.
Quasi volesse creare un “cortocircuito immaginativo”, ne “Le relazioni” l’autore tende a infrangere quelle gerarchie di momenti privilegiati o secondari che hanno caratterizzato l’impalcatura della narrativa otto-novecentesca: non c’è alcun tentativo di stupire, bastano alcuni cenni, brevi tratteggi di una società degradata (dove per degrado si considera l’accezione petroniana di perdita di grado) e l’ironia fa breccia da sola.
Sarebbe però riduttivo credere che di Palo si sia distaccato proprio da quella tradizione in cui la sua stessa arte affonda le radici e ne costituisce la naturale premessa. I suoi racconti infatti non mancano di influenze sveviane o addirittura tozziane. I personaggi, così come in Svevo e in Tozzi, sembrano essere entità prive di spina dorsale, solo emozioni e pensieri, proiettati improvvisamente su un comune scenario di rapporti disfunzionali.
Domenico di Palo, tuttavia, evita di soffermarsi in un’ormai isterilita analisi introspettiva; preferisce piuttosto riprendere i protagonisti delle sue storie quando non hanno ancora indossato “gli abiti di scena”, in quel “dietro le quinte” dove nessuno, dimenticato il proprio ruolo, è capace di improvvisare con naturalezza la parte che gli è stata assegnata.
Il repertorio umano offerto è molto vario: si va da una borghesia ancora emergente ad intellettuali mediocri assillati dal mito del successo, da gente tradita dalle proprie convenzioni sociali a professionisti del ragionamento che, dietro un velo di ipocrita solidarietà, celano la propria smania di prevaricazione sugli altri.
Si tratta di istantanee, rapide diapositive che mettono a fuoco l’insensatezza di vuote interazioni umane e che, a distanza di un trentennio dalla loro prima pubblicazione, risultano quanto mai attuali e pertinenti al corrente contesto sociale. Soprattutto ora che ne “Le relazioni” hanno trovato la loro più naturale e coerente collocazione.
Quasi volesse creare un “cortocircuito immaginativo”, ne “Le relazioni” l’autore tende a infrangere quelle gerarchie di momenti privilegiati o secondari che hanno caratterizzato l’impalcatura della narrativa otto-novecentesca: non c’è alcun tentativo di stupire, bastano alcuni cenni, brevi tratteggi di una società degradata (dove per degrado si considera l’accezione petroniana di perdita di grado) e l’ironia fa breccia da sola.
Sarebbe però riduttivo credere che di Palo si sia distaccato proprio da quella tradizione in cui la sua stessa arte affonda le radici e ne costituisce la naturale premessa. I suoi racconti infatti non mancano di influenze sveviane o addirittura tozziane. I personaggi, così come in Svevo e in Tozzi, sembrano essere entità prive di spina dorsale, solo emozioni e pensieri, proiettati improvvisamente su un comune scenario di rapporti disfunzionali.
Domenico di Palo, tuttavia, evita di soffermarsi in un’ormai isterilita analisi introspettiva; preferisce piuttosto riprendere i protagonisti delle sue storie quando non hanno ancora indossato “gli abiti di scena”, in quel “dietro le quinte” dove nessuno, dimenticato il proprio ruolo, è capace di improvvisare con naturalezza la parte che gli è stata assegnata.
Il repertorio umano offerto è molto vario: si va da una borghesia ancora emergente ad intellettuali mediocri assillati dal mito del successo, da gente tradita dalle proprie convenzioni sociali a professionisti del ragionamento che, dietro un velo di ipocrita solidarietà, celano la propria smania di prevaricazione sugli altri.
Si tratta di istantanee, rapide diapositive che mettono a fuoco l’insensatezza di vuote interazioni umane e che, a distanza di un trentennio dalla loro prima pubblicazione, risultano quanto mai attuali e pertinenti al corrente contesto sociale. Soprattutto ora che ne “Le relazioni” hanno trovato la loro più naturale e coerente collocazione.
Giuliano Pagnotta
* In “Il giornale di Trani”, 20 aprile 2011