Domenico di Palo

da "La bella sorte e altri versi" (1961-1984)*

la bella sorte

   

MANCA UNA DATA
MA BISOGNA CONVENIRE
CHE LA STORIA E' DI LUNGA DURATA
REALE QUANTO SOGNATA
BUONA A SDIPANARE ESPLOSIONI SOTTERRANEE
OGGETTI ELENCATI CON ORDINE IRRAZIONALE
RAPPORTI INVOLUTI PEGNI IMMAGINARI
INCERTEZZE RANCORI SEQUENZE
E SEGNI AMPLIFICATI
DI CONSUETI FENOMENI NATURALI




 

 

CAPODANNO '61
 


E chi rivedeva il passato
Sfumava lontananze
Spauriva malinconia -
E gli occhi s'appuntavano
Al gatto di velluto
Che inarcava il dorso.

Ma sopraggiunse l'alba
A impallidire l'assurdo delirio
Di una notte di stelle
Che faceva risacca
Sui cocci sparsi per la strada.

E ci poggiammo al giorno
Come il gabbiano si poggia allo scoglio
Stanco di scrivere in cielo
La sua domestica libertà.


 


HO CERCATO DI CORICARMI SENZA SOGNI
 


Ho cercato di coricarmi senza sogni
Ascoltando dalla strada
Questa fila di gridi metallici
Che nasce fischia e passa
E poi ritorna ancora
Per smorzarsi stridendo
Al semaforo arrossato.
Ma tu hai colmato il tempo
E il tempo scorre insonne
Al tuo guinzaglio.


 


THE NIGHT ON THE BARE MOUNTAIN
 


(in memoria)


Ti ho visto
Sulla montagna spoglia
In impossibile liberazione.

Nella tua umanità
Eri grazia redenta
Con pure ali.

Ma t'involasti rapidissima
Senza un addio.


 


BIVACCO
 


Eravamo bracconieri di sogni
Rintanati all'addiaccio
Con le fiamme che in dialogo
Frantumavano una sera di aprile.

Ora che il giorno è ritornato
Mi puoi dire
Se quella notte tu c'eri
A seguire le orme
Dei miei rimpianti.

 



SULLA TUA BOCCA
 


Sulla tua bocca è bianco
Come un sasso coperto
Di sole un sorriso.

E sui viali, sugli alberi
Scossi, su questi
Balconi aperti sul mare

Tu sei come l'acqua
Sulla tua pelle bruna
E i tuoi gesti di bambina.


 


AGLI AMICI
 


Ormai non c'è silenzio.
Se ci hanno così guardati
Non si può più tacere
Sulla nostra amicizia.

Siamo quelli che si sono ritrovati
Sbucati da ogni parte
E già segnati a dito.

Dicono
Che non abbiamo mai imparato
A scrivere senza errori
Nell'album dei ricordi familiari
E ci siamo accompagnati
Per infilzare i nostri sogni
E vederli consumati fino al fondo.

Ma i giorni son passati
Turbinosi e pieni
E siamo stati insieme
Più di quanto si pensava
Anche se qualcuno di noi
Ha tentato di lasciarci
Per quelli che apprezzano
Chi si fa onore
Chi si addormenta
Pur con l'ossa rotte
Chi dà lezione di bello stile
E "sa capire".
Ed ora
Ora che forse ci separiamo
Dobbiamo dirci finalmente
Che davvero ci siamo dati una mano
Se oggi sappiamo guardarci negli occhi
Per ritrovarci quelli che siamo
E con le parole che hanno il senso
Che vogliamo.

Per questo mi pento
Di essere venuto dopo in mezzo a voi
E più lento di tutti
Mi sono abituato alle vostre riflessioni.
Ma sarebbe sciocco se vi ricordassi
Ciò che di me del resto già sapete
Voi che mi avete visto piangere
E raccogliere le pietre
Voi che mi avete visto crescere
Più solo di voi stessi
E correre a infilarmi tra gli altri
In uno spazio non più grande di una mano.
E poi mi è impossibile
Non è verificabile ora che vi conosco
Ora che il mio volto somiglia al vostro.
E' come se d'un tratto
Mi venisse meno
Il bisogno di uscire, per rivedervi,
E non sentissi più
Il chiasso dei bambini per la strada.

 



IL COMPAGNO DELLA DIREZIONE
 


Venne il compagno della direzione.
Parlò bene, per un paio d'ore
E con le parole di chi nell'analisi
Ci ha messo tutta la sua passione.
Poi, mentre si stava ad ascoltare,
Disse che le cose da noi
Comunque andavano male.
Ci fu lo starnuto del vecchio
Il solito sputo per terra
Il raschio di gola e la sedia
Spostata col più grande rumore.
Ma a nessuno passò per la testa
Di parlare.
Seri, con il cuore pesante
E le mascelle contratte
Fino a farci male:
C'erano tante cose
Di certo da aggiustare.
Finché lì, dal suo posto,
Come se non ci fosse nulla di grave,
Il compagno della direzione
Disse tranquillo
Che bisognava darsi da fare.
E con la faccia migliore del mondo
Semplice e ferma
Com'era la sua voce.

 



LA MARCIA DELLA PACE
 


(Altamura, 13 gennaio 1963)


Il freddo c'imprigionava la lingua
Ci tagliava la faccia
Ci legava i muscoli,
Ma il cuore era stretto
E i compagni di marcia
Si davano da fare.
Davanti a noi
Sciamavano i ragazzini
Con la faccia livida
E le mani rosse di geloni.
Eravamo in tanti
Giunti da ogni parte
Della Puglia e della Lucania
Senza fretta e con la calma
Di chi sa ciò che vuole
Perché gli è familiare
Come il vestito che indossa.
E gridando tutti insieme
Andavamo avanti
Tra le pozzanghere nere
Nei vicoli cupi
Sul lucido asfalto…

Avanti,
Con il collo robusto
E la nuca diritta
E i grossi occhiali di tartaruga
E il viso segnato dalla fatica.
Avanti,
Gridando tutti insieme
E quel grido ci esaltava
E forzava ostinato
Un passo dietro l'altro.

Ai bordi della strada
Avvolte in pesanti scialli neri
Le donne ci aspettavano
E sentendoci gridare
Piangevano.


 


STASERA CHE E' DOMENICA
 


Una settimana di politica intensa
La crisi al Comune
Per le nostre denuncie
L'articolo per il giornale
Manifesti volantini e ancora manifesti
Per lo sciopero di domani.

E stasera che è domenica
A difenderci coi denti
Dalla saggezza dei benpensanti.


 


MI FACESTI LEGGERE I TUOI VERSI
 


Mi facesti leggere
I tuoi versi stupendi
Non so se per ripicca
O per una vanità mondana.

Poi mi parlasti di Montale
E la tua voce era lì a segnare
Il tonfo delle lacerazioni.

Non avevi gesti
Eri un fiore di vetro
E chissà quanto avresti pagato
Per fare di me
Il testimone eterno
Della tua morte bella.

 



IN MERITO
 


In merito
Al misfatto compiuto
Al dialogo avviato
O al punto di vista
Nel caso indicato
Nel fumo grigiastro
Che c'impasta la bocca
C'è sempre la soluzione
Che alla fine ci blocca.

E facciamo pazienti
La nuova previsione
Che in tempo di precedemti
Ha pure il fascino
Della confezione.

 



CON UN POCO DI ZELO
 


Con un poco di zelo
- Come si è detto -
Si può anche portare a maturazione
Il contenuto più autentico
Della nostra morale civile.

Ma siamo impegnati
Ad amplificare la nostra esperienza
Che naturalmente consumiamo per intero
Nell'ambito della nostra competenza.

 



L'ANOMALIA DI QUANDO
 


L'anomalia di quando
Un'indicibile dolcezza
Un paesaggio infiammato
Una stupenda chiarezza

Il silenzio di quando
Spalla a spalla
Troppo innocenti
O troppo abbarbicati
Al lume di una candela morente
Il cielo s'innalzava in un istante.

 



COPIA CONFORME
 


L'involucro di plastica
La mollica di pane sulla tovaglia
Il tappo della bottiglia
La forchetta ingrassata

Una copia conforme
La circostanza convenuta
E il nostro mutuo
Soccorso di sempre.

 



LA REGOLA DEL GIOCO

(a V. e ad H.)
 


Manipolare la vita a piacimento
Assecondare l'ilare comportamento
Di chi ha da sempre capito
I termini fluidi dell'andamento
E in omaggio alla più lucida coscienza
Ridurre a sotto zero
La fatica sprecata nella sopravvivenza.

Applicare ad ogni valutazione
Il marchio sublime della comprensione
O uniformare l'intenzione
A quella del più forte
Lasciando alla propria sorte
Il privilegio soltanto della decantazione
Nel tanto che consente l'immaginazione.

E complici di scontate soluzioni
Senza più il rischio di ulteriori dispersioni
Vantarsi così di un gesto mancato
Di un sogno frustrato
Se in questo esistere e morire a poco a poco
Ormai consiste tutta la nuova
Ineffabile regola del gioco.

 



AUTOBIOGRAFIA
 


Basta che lo racconti n giro
E cominci a subire
Premure e gentilezze.

Davanti a te
Non c'è più gente
Che non ti somigli.

E tu non devi stupirti
Ma cercare soltanto
Di uniformarti bene

Alla nuova condizione
Anche se dopo tutto
Non ti conviene.

 



LA BUONA DIETA
 


La buona dieta, la buona
Consolazione artigianale
Piatta e lacrimosa

E una febbre mentale
Nevrotica incidentale
Di un'occasione plausibile

Sensibile - insensibile
A concretare una violenza
Risaputa verbale

Circoscritta nel tempo
Di una febbre mentale
Nevrotica incidentale.


 


VEDI E NON VEDI
 


Vedi e non vedi
Di certo trascorri
E torni col tuo filo
Sensibile garbato
Attento ad ascoltare
Disponibile soltanto
Alla memoria, morale.


 


L'OCCHIO



L'occhio
L'occhio di schianto
Un occhio nudo
Per una ragnatela favolosa
E la luna calante dentro il fosso
Della raccolta dei classici
Della rivoluzione



 


LA BELLA SORTE
 


L'abilità d'integrarsi
E la storia del buon viso
Al cattivo gioco
Le trame combinate
Dopo la formulazione
Le palpebre gonfie di sonno
E di carta stampata
E fino attraverso le ossa
Il peso che si addice.

Ed organizzi la nozione
Fermo ad ogni assalto
Già dentro l'ironia
Di questa bella sorte.



 

VALENTI AD ASPETTARE

 

Valenti ad aspettare
Diffondere il verbo uguale
Per la fertilità delle amene contrade
E della classe.

Eludendo però
E infilandosi a letto in pigiama
Con la certezza beata
Di salvarsi l'anima.


 

 


UN'ESISTENZA TRANQUILLA
 


Un'esistenza tranquilla
La certezza
Benemerita monocorde patrimoniale
E l'impegno sociale
Localizzato
In un canovaccio adeguato
O almeno circoscritto
Con beneficio d'inventario


 




ASSIMILATO, COMUNQUE, CONVENUTO
 


Assimilato, comunque, convenuto
Totalmente identificato
Testimone compiaciuto
Di un'altra partita
Dove non resta
Che fingere la battuta
O prendere la droga
Dello status conquistato.

E quindi rifarsi a quel limite
Assuefatto alla bontà della sorte
E al prodotto acquistato
Al contenuto nutritivo
E al prezzo di mercato
Persuaso così, dopotutto,
Di comporre la vertenza
Coprire il disavanzo
E dipanare - ad ogni costo -
La questione
Prima delle vacanze.

 


 


MIO PADRE

(a G.)

 



TU PARLI DI UN UOMO SENZA QUALITA'
ED E' CARO IL RICORDO
SIA PURE NEL SUO
- PER TE -
MISTERO DELLA MORTE
Un ultimo filo
Appeso alla sguardo
Più lungo negli occhi
Sbarrati la sera
Che l'ombra pesava
Nel martirio della stanza.
La sua voce già fioca
Per quasi un abbraccio
Un addio, un commiato
Per tutto quello non dato.

OH, L'UOMO SENZA QUALITA'!
MIO PADRE, UN PICCOLO
ARTIGIANO ANTICO
SEMPLICE E PUDICO
CHE RIDESTO' LA LINGUA
DAL SUO MORTALE TORPORE
PER DIRMI, IN UN SOFFIO,
TUTTO IL SUO AMORE.

TU PARLI DI UN UOMO SENZA QUALITA'
ED E' CARO IL RICORDO
SIA PURE NEL MIO
- PER ME -
RIMORSO DEL NON DATO
Un surrogato per la mia cultura
Che non capì mai la sua paura.



 


IL PAESE E' PICCOLO, LA GENTE MORMORA
 


A Donna Maria


Costretto dalle necessità della vita ad accettare l'incarico per un insegnamento anche a Gravina di Puglia, dal 1969 mi sobbarcavo a quotidiane levatacce per raggiungere da Trani, con ogni cielo e con ogni clima, quell'antico feudo degli Orsini, nella Murgia "sassosa e selvosa". Fu così che per alleviare quella per me insopportabile fatica, nel gennaio del 1970 decisi di mettermi a pensione per un mese per tornare in famiglia solo ogni fine settimana. Quella esperienza mi valse, fra l'altro, la conoscenza del personaggio davvero singolare raffigurato in questi versi di vago sapore gozzaniano che mi piace ora ripubblicare perché - così pare - significativi di una realtà meridionale che tarda a morire. Sarebbe tuttavia un errore generalizzare e vedere riflessa nelle situazioni che qui si tenta di descrivere l'intera società gravinese, ché anzi al ricordo affettuoso di molti cari alunni e di colleghi bravi e simpatici si unisce in me quello di una città per molti aspetti dinamica e aperta, capace non solo di conservare ciò che di positivo vi è nel passato ma di guardare con intelligenza nel presente.


Mi hanno detto sorridendo
sapete, di quel sorriso cattivo
che è fatto tutto di malizia
e di tanta ipocrisia,
che voi, donna Maria,
tenete un po' di quelle case
che la gente per bene
si vergogna a nominare.
"Bisogna stare attenti,
ne va di mezzo la reputazione
e tu che fai il professore
più di qualunque altro
devi fare attenzione...
Cosa direbbe la gente,
il signor preside, i colleghi
e tutte le famiglie
di quei benedetti figliuoli
a cui ogni giorno
tu impartisci lezioni
e insegni a parlare di latino
e racconti le storie dei poeti
e dei nostri grandi autori?...
Il paese è piccolo
la gente mormora
e non depone certamente a tuo favore
che tu abbia la pensione
proprio da donna Maria!...
Scommetto poi
che ti ha già detto
della sua mania,
anzi, senza dubbio,
ti ha già mostrato
i suoi trofei di guerra,
le mille cianfrusaglie
di pessimo gusto,
i suoi pezzi di bronzo antico,
le sue brutte cornici
da 'palazzo reale'
e i santini incappucciati
in campane di vetro,
i fiori finti e variopinti,
i drappi di velluto,
i due quadri di autore...
E l'archeologia!...
Sì, donna Maria,
nelle cui braccia
(beh! si fa per dire)
un poco tutti noi
sfiorimmo la giovinezza,
dell'archeologia
è l'esperta, provveduta,
consapevole, risaputa
maga, regina, spia...
proprio quanto lo fu
il mio povero zio Tobia!...
Ma non voglio dirti altro.
Per il tuo bene ti consiglio
di cercare altrove
una stanza in cui dormire...
Tu vuoi stare sulle spese,
questo è giusto, e nel paese
è un po' difficile trovare
chi possa farti conciliare
le cose che tu vuoi.
Sai, ci sono i pregiudizi,
sei sempre un forestiero
e per di più sei un uomo
e dalle nostre parti,
lo devi già sapere,
un uomo è sempre un uomo!
Come si fa, per Dio,
a lasciarti solo in casa
se ci sono le signorine!
A dire il vero poi
con meno di trentamila lire
nessuno ti fa dormire.
Hai famiglia, hai ragione,
tutto quello che vuoi dire,
ma lasciati pregare,
fammi questa cortesia...
Il paese è piccolo
la gente mormora
e non depone certamente a tuo favore
che tu abbia la pensione
proprio da donna Maria".


Donna Maria,
quante volte 'sta campana
mi ha rimbombato nella testa.
Ma non vi date pena:
ho già detto basta!
A quest'ora, io scommetto,
se le avessi dato retta
sarei già morto di freddo
e non vi avrei nemmeno
potuto dire
quanto siete gentile, premurosa
e che più di ogni altra cosa
io vi trovo generosa.
Parlate troppo, questo è vero,
dei vostri acciacchi, dei malanni,
e il "Caravaggio" è una crosta,
"Michelangelo" non l'ho visto
e i mille pezzi di argenteria
stanno soltanto nella vostra fantasia,
e i cocci etrusco-romani
sono il prezzo di un rigattiere
che fatto furbo dal mestiere
vi ha voluto ripagare
di qualche vostra cortesia...
Ma la vostra casa è calda,
e il letto che mi avete dato
lo trovo sempre pulito.
E poi, stamattina,
tornando dalla trattoria
tutto nero per gli spaghetti
decisamente scotti
e per questa solitudine
pesante e molto triste,
nella stanzetta mia,
donna Maria,
ho trovato tante cose
che non vi avevo chiesto
ma che voi, delicatamente,
avete creduto giusto
che io avessi ancora:
il calendario sul comò
la spazzola per il mio vestito
il portaombrelli tutto verde
la poltrona imbottita
l'asciugamani di filo
il portacenere di cristallo
la bottiglia per l'acqua
e uno due tre bicchieri
tutti belli e allineati
come gli alberi che ieri
ho visto dal ponte
giù nella gravina,
e persino un poggiapiedi
e nel bagno
un piccolo specchietto
per guardarmi di dietro...
Donna Maria,
grazie tante per la vostra cortesia
che, dopo tutto, si fa per dire,
mi costa soltanto dodicimila lire,
pagate, s'intende,
posticipatamente.



Gravina di Puglia, 16 gennaio 1970



*"La bella sorte e altri versi", con una nota di Maria Marcone e disegni di Ivo Scaringi, Editrice La Vallisa, Bari 1985.

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