Domenico di Palo

VINCENZO PALMISANO


Rivolge lo sguardo al passato, rammemora, raccoglie i ricordi, mette insieme il materiale per la composizione di un’opera narrativa, ma invece di scrivere un romanzo scrive un’autobiografia.
E’ quanto accaduto a Domenico di Palo, poeta, saggista e giornalista di Trani. Una autobiografia che è anche la fotografia a colori di una generazione. Quella che, per dirla con l’autore, è stata troppo giovane per fare la Resistenza e troppo vecchia  per fare il ’68.
Il volume, pubblicato dalla Editrice Palomar di Bari, ha per titolo “Renato e i giacobini”. Renato è nella realtà Domenico di Palo, e i giacobini i suoi amici che, come lui, volevano cambiare il mondo. Non con la violenza ma con la forza delle idee e con l’impegno politico.
Io ho avuto la fortuna di seguire alcune battaglie del prof. Domenico di Palo (per es. quella contro la speculazione edilizia, cancro delle nostre città) attraverso le pagine del periodico “Singolare/Plurale”, da lui fondato e diretto.
Il volume dà conto non solo delle vicende politiche ma anche della vita sociale e culturale di una città, Trani, che nel corso degli anni è cambiata in peggio.
L’autore ricorda con nostalgia la mitica Lampara di Punta Colonna, e a noi brindisini viene subito in mente la Casina Municipale di Selva di Fasano negli stessi anni, quelli di Fausto Papetti e Fred Buongusto. Che tempi!
Sono presenti nella mente dell’autore non solo i momenti dello svago giovanile, ma anche quelli tragici del 2° conflitto mondiale. Domenico di Palo non  dimenticherà la notte del 27 aprile 1943, quando aerei inglesi lanciarono bombe al porto e alle casermette provocando la morte di 21 civili e 14 militari.
Un terribile evento che scatenò la corsa allo “sfollamento” di una parte della popolazione e spinse la famiglia di Palo a fuggire nel Nord e a dividersi tra Emilia-Romagna, Toscana e Piemonte. Una decisione assurda, dettata unicamente dalla paura e dal bisogno di sicurezza.
Molte sono le pagine che, a lettura ultimata, restano nella mente e nel cuore.
Personalmente avrò sempre davanti agli occhi la figura del padre dello scrittore. Di lui, uomo schivo e taciturno, artigiano costruttore di carrozze di gran lusso per i signori di Trani (oggi esposte in un museo della città) di Palo non dice molto. Ma quel poco che dice è più che sufficiente per renderlo tanto più vivo da suscitare la nostra commozione.
Durante le campagne elettorali, l’autore parla spesso in piazza ai suoi concittadini. Ad ogni comizio, il padre, lontano dal palco e nascosto dietro un albero, ascolta rapito le sue parole e orgoglioso dice al suo vicino: “Quello è mio figlio!”.
Come sempre faccio, quando finisco di leggere, anche questa volta, giunto all’ultimo rigo, ho riaperto il libro e, sfogliandolo, mi sono fermato a riassaporare la pregnanza di alcuni passaggi..
Ne riporto tre.
“Ed era proprio questo il segno della nostra debolezza, della nostra incapacità di incidere sul serio… Noi ci riempivamo la bocca di belle parole sulla giustizia sociale, sulla democrazia, sul sole dell’avvenire, e altri facevano affari.
Ma quali affari! Ci si vendeva per un  piatto di lenticchie, un posto all’ospedale o al Comune…”.
“E solo le storie italiane hanno il ritmo di sempre. La stessa solfa, le stesse facce, gli stessi problemi, gli stessi intrallazzi, le stesse beghe paesane, gli stessi ammazzamenti…
E non sembra cambiato nemmeno il nostro modo di reagire alle grandi svolte della storia: tutti anticomunisti oggi, così come si era tutti antifascisti all’indomani del 25 luglio del ‘43”.
“Già, gli amici… Ma dove sono andati a finire? …
So comunque che sono tutti cambiati e che da giacobini si son fatti girondini e che qualcuno se n’è andato persino in… Vandea, come Giuseppe, che si è iscritto a ‘Forza Italia…”.
Affermazioni intrise di malinconia, di amarezza, di delusione, che ci danno l’essenza di “Renato e i giacobini”
Leggetelo anche voi. La scrittura, sobria, essenziale e calvinianamente  leggera permette al lettore di attraversare il libro con speditezza e assorbente coinvolgimento fino all’epilogo.

                                                                                                        Vincenzo Palmisano



* In “Il Punto”, mensile sanvitese di cultura e informazione, anno XXXVI, n. 7, luglio 2006.

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