Domenico di Palo

SALLY VIESTI


Da qualche settimana è stato pubblicato, mentre la presentazione ha avuto luogo questo venerdì, 26 maggio, con il giornale in stampa, alla libreria “La Maria del porto”, presenti la prof.ssa Grazia Distaso, docente di Letteratura italiana presso l’Università di Bari, e, naturalmente, l’autore.
Stiamo parlando di “Renato e i giacobini”, ultima e bella prova narrativa del prof. di Palo, tranese doc con alle spalle un curriculum ricco di importanti esperienze, segno di una personalità poliedrica e versatile, che ha sempre approfondito i suoi interessi culturali, affiancando all’attività didattica (ha insegnato Italiano e Latino per anni in varie scuole della provincia di Bari e, dal 1976 al 2000 presso il Liceo scientifico “Valdemaro Vecchi” di Trani) l’attività pubblicistica e la passione per la poesia (la sua prima raccolta di liriche, “Foglie”, pubblicata a Milano dall’editore Gastaldi, risale al 1959) e per la narrativa. Il prof. di Palo è stato ed è tuttora un punto di riferimento importante per la cultura pugliese.
Come dimenticare la sua principale iniziative editoriale, “Singolare/Plurale”, il periodico di critica e costume da lui fondato nel 1978 e che per tredici anni (fino al 1991) ha rappresentato un importante strumento di battaglie politiche e di riflessione letteraria.

Negli ultimi anni si è cimentato con successo nella narrativa, scrivendo racconti, in parte pubblicati su riviste, e un lungo romanzo da lui distrutto, ma dal quale ha preso spunto per scrivere “Renato e i giacobini”, pubblicato recentemente dalla Palomar di Bari, e nel quale, per dirla con Giorgio Bàrberi Squarotti, “la vicenda di molti anni della nostra vita è sapientemente e originalmente raccontata nella forma dell’antiromanzo, con ironia, con distacco ma anche con molta passione e nostalgia…”.
Effettivamente il prof. di Palo sembra involontariamente rifarsi a modelli illustri dell’antiromanzo novecentesco italiano (Pirandello, Gadda, Bontempelli, la neoavanguardia, Sanguineti, Arbasino e tanti altri) per la sua capacità di sganciarsi dalla struttura compatta, armonica e consequenziale di eventi tipica del romanzo tradizionale, inteso in senso ottocentesco, realistico e naturalistico.
L’autore crea un impianto narrativo, in cui i piani temporali si saldano, si intrecciano, si alternano tra rievocazione memoriale, riflessioni sulla vita, sulla morte e l’amara constatazione del degrado intellettuale, politico e sociale del presente. “Renato e i giacobini” presenta anche una forte componente “metanarrativa”, perché l’autore alla narrazione unisce anche la riflessione su di essa, essendo la progettazione e stesura di un romanzo il filo conduttore dell’intera opera.

Il protagonista Renato Covelli, intellettuale di provincia ormai dégagé, è narciso, egocentrico, ma anche molto ironico, anzi autoironico e profondamente umano. Ha un talento innato per la scrittura, non pienamente espresso, fino a quando non decide di scrivere un romanzo. In realtà, (come lo stesso autore)) in passato aveva scritto un romanzo, di circa novecento pagine, intitolato “Le piazze deserte” (dai versi di Pavese in “Lavorare stanca”), la cui trama aveva entusiasmato gli amici, ma non lui, che diede il dattiloscritto alle fiamme.
Per questa sua seconda prova da scrittore Renato intende scrivere una storia “densa e complessa, con un principio e un a fine, in cui la realtà sia mescolata alla fantasia e in cui trovino spazio e approfondimento i grandi temi universali, il personale e il politico, il pubblico e il privato, il singolare e il plurale, l’amore e il disamore, la vita e la morte.”
L’obiettivo è ambizioso e in quello che si annuncia come il “romanzo del secolo” egli coinvolge vecchi amici e nuove conoscenze. Particolarmente significativi sono i confronti-scontri dialettici tra Renato e l’amico di sempre Rinaldo, tranese trapiantato in Germania dal temperamento vivace, polemico e scanzonato, che rappresenta il suo alter ego e la sua coscienza critica. Nelle loro conversazioni cultural-mondane i due amici ricordano i primi anni Sessanta, gli anni del “boom economico”, quando giovani e pieni di entusiasmo si atteggiavano a vitelloni felliniani e nel contempo dibattevano sulle mode intellettuali del tempo (Kafka, Pavese, Hemingway, Pasolini, Ibsen, ecc.).

Sullo sfondo appare uno spaccato dell’Italia dell’epoca: il governo Tambroni, l’affronto del congresso missino a Genova, medaglia d’oro della Resistenza, i moti di piazza e i morti di Reggio Emilia e in Sicilia. La nostalgia per il passato lascia il posto alla critica del presente, di cui Renato denuncia in maniera lucida e impietosa, senza falsi moralismi, il conformismo dilagante, l’appiattimento culturale, l’immobilismo sociale e tutti i mali della sua città (che è Trani) e del Sud Italia negli anni Ottanta-Novanta, periodo in cui è ambientata gran parte della storia. Renato rievoca anche l’entusiasmo, la determinazione e la convinzione con cui aveva sin da giovanissimo abbracciato l’impegno politico (spalleggiato dagli immancabili “giacobini” ovvero Rinaldo, Alberto, Nicola, Natale, Luigi, Luca, Giuseppe, Donato), militando prima nelle file del PCI, poi aderendo alla sinistra extraparlamentare, sino all’elezione a consigliere comunale e coordinatore della sezione per il suo partito, all’indomani del ’68. Ben presto, in seguito all’ondata terroristica del ’78 anche l’ardore politico si esaurisce e in Renato prende il sopravvento la convinzione di una reale difficoltà a muoversi in positivo e a far coincidere teoria e pratica, che in politica più che in qualsiasi campo dovrebbero procedere di pari passo, senza equivoci e fraintendimenti.

La stesura del romanzo diventa, quindi, il pretesto per raccontare e rileggere con ironia e il giusto distacco cinquant’anni di storia di Trani  e del Sud Italia (dalla seconda guerra mondiale fino alla fine degli anni Novanta). Ne esce fuori l’immagine di una realtà disgregata e caotica, in perenne metamorfosi e in continua ricerca di un senso e di un  ordine.

                                                                                                                    Sally Viesti



* In “Il Giornale di Trani”, 9 giugno 2006.

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