Domenico di Palo

PIETRO MARINO


Domani 8 aprile sarà presentato a Trani (Palazzo Calmieri, ore 19) il volume “IVO SCARINGI” di Domenico di Palo (Adda ed.) La monografia ricorda la vita e l’opera del noto artista pugliese scomparso nel 1998, a 61 anni. Parleranno Franco Botta, docente universitario; Pietro Marino, critico d’arte, e Domenico Viaggiano, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Firenze.

Nel 1964 il giovane pittore tranese Ivo Scaringi, 27 anni, da poco diplomato all’Istituto Statale d’Arte di Bari e subito assunto come insegnante (altri tempi) tenne la sua prima personale nella galleria “La Vernice” in Piazza Massari. Si era già fatto un nome partecipando fra l’altro a v arie edizioni del Premio Lippolis (e vincendolo nel 1961), una rassegna per giovanissimi pugliesi organizzata nell’ambito della mostra di pittura del “Maggio di Bari”. Il critico della “Gazzetta” ritenne allora di doversi “compromettere” salutando in Scaringi “il più sicuro e maturo rappresentante della nuova generazione di artisti pugliesi”.
Domenico di Palo, lo scrittore e intellettuale tranese che ha curato la monografia-antologia critica sull’amico pittore prematuramente scomparso, nel ricordare l’episodio, ne sottolinea l’importanza. Perché – egli afferma – il critico del quotidiano barese era considerato “il pontefice massimo”, colui che poteva decidere le sorti di un artista. In realtà quel critico, che aveva pochi anni in più del pittore, non aveva allora (tanto meno oggi) percezione di questo presunto potere. La convinzione sulle qualità di Scaringi, sì. E dichiararlo non era in effetti indolore, stretta com’era la pittura pugliese fra ostinate resistenze conservatrici e l’autorevolezza da poco conquista dai protagonisti degli anni Trenta-Cinquanta, i De Robertis, gli Spizzico, gli Stifano, perdipiù in difficili rapporti fra loro.
Scaringi - allievo prediletto di Francesco Spizzico e cresciuto alla sua ombra - rompeva
questo schema, insieme con pochi altri giovani artisti. I più autorevoli erano Salvemini da Molfetta e il materano Guerricchio, da pochi anni disceso in Puglia con l’aura di studi e successi conseguiti al Nord. Ivo ebbe il merito di rivolgere il colorismo plastico del suo maestro e la sua teatralità “barocca” in direzione di un neoespressionismo nervoso e impetuoso. Disfacendo colori e piani, assumeva come referente la crisi della civiltà contadina nel Sud, l’emergere delle contraddizioni della nuova cultura urbana. Il meridionalismo di Vittore Fiore, le suggestioni lucane del mondo di Rocco Scotellaro e Carlo Levi alimentavano quella cultura.
Umori etici e politici allora diffusi nella nuova generazione, da cui prese vita il gruppo m”Nuova Puglia” nel 1965 .Vita breve peraltro, seppure segnata da tentativi di ritorno a singhiozzo negli anni 70, con le mostre “Immaginazione e Realtà” e “Realismo”. Perché questi tentativi di aggregazione fallirono, è storia ancora da sondare a fondo. Scaringi vi partecipò alla sua maniera, con l’intensità della pittura e il silenzio negli incontri che l’impetuoso amico di Palo allora gli rimproverò.
Non il neorealismo guttusiano, ma la costola espressionista dei Calabria e dei Vespignani fu il referente di quei pittori. Ma Scaringi fu forse il primo, certamente il più lucido nello sciogliersi anche dei turgori patetici di quella matrice sin dal finire degli anni Sessanta. Quando cioè - ormai piombata anche in Italia l’ondata della Pop Art americana – una parte della “Nuova Figurazione” italiana cercava linguaggi più netti e asciutti, un rapporto critico con l’iconologia massmediale. E’ qui a mio parere - tra fine Sessanta e soglia degli anni Ottanta - il periodo di maggiore originalità e creatività di Scaringi: prima la coraggiosa rottura con l’adozione di una pittura “fredda”, metallica quasi ai limiti dell’astrattismo, poi la pratica quasi da repertorio piranesiano della composizione di frammenti iconici, la presa di coscienza da “scuola dello sguardo” di una realtà “cosificata” e segnaletica.
Ma oggi penso che, per le fonti di Scaringi, si debba anche indagare nella direzione dei Guerreschi, dei Pozzati, dei Sarnari e insomma di quella vasta area che al Nord praticava un iconismo freddo tra nuova oggettività e neomacchinismo. Da noi, sulla scia di Scaringi fu la scelta praticata agli esordi da giovanotti come Iurilli e Dell’Erba. Verso la metà degli anni Ottanta si colloca il sempre più deciso isolamento di Scaringi, il suo chiudersi nella scuola e nell’atelier di Trani, il rarefarsi dei rapporti con gli ex compagni di strada. La tensione morale di questa scelta, lo sdegnoso rifiuto alle ragioni del mercato e alle pratiche della competizione ruffiana, sono ben sottolineate da di Palo nella monografia, preziosa anche per l’ampia antologia critica e l’attenta ricostruzione della crono logia dell’artista.
Che però questo argomento abbia pesato sulle sue scelte linguistiche, ne sono convinto. La produzione dell’ultimo decennio ho potuto riconoscerla “in diretta2 grazie alla devota premura della vedova, fra la casa-tempio e l’istituto religioso in cui gran parte delle opere è affidata alla custodia di suor Nunzia, sorella gemella di Ivo. E’ una pittura che - richiamandosi quasi alle origini, alla cultura del disegno e della scultura appresa nel laboratorio del padre Nicola - svolge in modalità diverse il sovrapporsi di elementi di memoria e stilemi dell’arte, soprattutto la quasi ossessiva indagine sulla cattedrale di Trani. Con una sorta di enfasi drammatica analoga a quella degli esordi ma prosciugata e ossificata, quasi funerea.
In una delle sue rare e reticenti dichiarazioni, che pure il volume raccoglie, Ivo spiegava che alla base c’era “il motivo del disorientamento, dello smarrimento, e quindi la ricerca di un punto di riferimento. E le visite ai luoghi dell’arte e della cultura non sono che la speranza di uscire da dove ci troviamo”. Nello smarrimento di fronte ai cambiamenti impetuosi e nell’ostinata speranza nell’arte salvifica si può condensare il dramma di Scaringi. Un artista da recuperare alla riflessione sulla cultura contemporanea nel Sud.

Pietro Marino




* In “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Bari, venerdì 7 aprile 2000.

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