Domenico di Palo

MICHELE URRASIO


“La bella sorte” raccoglie i versi che Domenico di Palo ha scritto nell’arco di venticinque anni; un periodo di vasto respiro, in cui è facile cogliere i turbamenti, le passioni, le illusioni e le cadute che hanno caratterizzato l’esistenza del poeta e che ne hanno inciso il carattere e la ricerca poetica. Di Palo, con coraggio e lealtà, denuncia tutto quanto ha vissuto: i temi, le variazioni linguistiche, i passaggi di umori e di cadenze ne costituiscono una riprova che trova forza e sostegno nelle lacerazioni dell’uomo più che in quelle del poeta. Non costa fatica, infatti, rilevare fin dai primi versi il suo impegno politico e sociale e la volontà di dar corpo alle sue aspirazioni, che, con il passare del tempo, acquistano, tuttavia, toni più pensosi, sono aperti alla fiducia, per una constatazione di superficialità e di propositi puntualmente traditi, più che di concretezze e di serie realizzazioni. Per questo anche di palo non poteva non avvertire, in misura prepotente, l’esigenza di una presenza capace di riempire la sua solitudine: esigenza di amicizia, di compagnia, di affetto, dal momento che la stanchezza è in agguato e carica sulle nostre spalle “il peso di tutto quanto il mondo”.

Una possibile soluzione poteva esservi nella solidarietà, nella comunione di intenti, tese a riagganciare uomini-cose-eventi. Ma neppure il tempo porta saggezza e i lutti che ci sconvolgono tingono i nostri giorni “di sangue sempre fresco”, ed è sforzo inutile il tentativo più volte provato “per non confondere i vivi/ con questi altri morti”.

Una problematica, come è dato vedere, attuale e ferma, affatto libera da elementi che possano appesantire l’agilità del verso, la sua palese antiletterarietà. Il poeta sa, e lo denuncia senza riserve, che molte parole sono inutili, sono frasi frantumate, le conclusioni avventate; sa che la coerenza è un sogno e che nessuno si sforza, per riempire la propria e la solitudine altrui, di comprendere e di sostenere “questi silenzi enormi/ e queste nostre mani/ che si cercano nel buio”. Una chiusa, questa, che potrebbe rappresentare una svolta nella poesia di di Palo, e lo è, se si esamina con attenzione il linguaggio delle mani carico di messaggi e di promesse; una svolta, però, che s rivela alquanto esile, ché troppo radicata è nel poeta la misura del proprio tempo. Infatti, caduti per estinzione i falsi idoli, anche i barlumi si spengono senza forzatura e gli entusiasmi trovano nel quotidiano, nell’assurdo l’appiattimento e la sottomissione a un modus vivendi che non esita, giorno dopo giorno, a cambiare le sue regole, inspiegabilmente.

Anche il rapporto vita/morte - altro tema sotterraneo ma vivo e pregnante in questi versi – impegna il poeta che non lo risolve in una contesa accesa e voluta, né in una convivenza lacerante e sospetta, ma ne fa una ragione di essere e l’accetta come inevitabile “se in questo esistere e morire a poco a poco/ ormai consiste tutta la nuova/ ineffabile regola del gioco”.

Istanze personali, comuni interrogativi e impegno sociale ci sembrano i punti intorno a cui ruota questa raccolta che considera un itinerario ampio e denso di sollecitazioni e di esperienze, ma certamente non compiuto. Un itinerario che di palo percorrerà fino in fondo con quell’impegno e quella serietà che segnano i suoi versi e li caratterizzano.
 

Michele Urrasio
 

*In “Percorsi d’oggi”, rassegna di letteratura, arte e attualità, Torino, dicembre 1986.

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