MARIA MARCONE
Rileggo con
piacere un romanzo che avevo già letto tempo fa ancora
dattiloscritto inviatomi in anteprima dall’amico Domenico di
Palo cui mi lega antica amicizia e consonanza: il romanzo è
“Renato e i giacobini” con riproduzione in
copertina di un bellissimo Carlo Carrà ed è edito
da Palomar di Bari nel marzo 2006 (euro 13).
Rileggere fa sempre bene e la scrittura stampata acquista più autorevolezza per il semplice fatto che è stata stampata e quindi definitiva.
Domenico di Palo è più conosciuto come poeta, saggista, pubblicista, direttore per molti anni di “Singolare/Plurale”, professore di liceo, polemista politico impegnato anche nell’amministrazione della sua Trani di cui è l’anima più solare, genuina, appassionata.
Renato, il protagonista della storia, sa di avere la forza di scrivere un romanzo: a dir la verità ne aveva già scritto uno di novecento pagine che però ha strappato dopo averlo letto agli amici e averne ricevuto i complimenti. Perché lo ha strappato? No, non era il romanzo che aveva in mente di scrivere. Comunica agli amici che ora è arrivato il momento di scrivere il romanzo del secolo. Intorno a quest’idea si raggrumano via via i ricordi della giovinezza, le tante idee per cambiare il mondo, la visione di come tutto sia diventato polvere e cenere, del degrado politico sociale intellettuale morale, in un continuo rimpallo fra presente e passato durante le conversazioni con l’amico Rinaldo, una sorta di alter ego che fa da input perché la memoria si materializzi in scrittura. Renato è ironico ed autoironico, è istrione narciso egocentrico, ma è anche appassionato, tenero, umano fino alle lacrime. Il suo andirivieni fra gioventù, infanzia di guerra, vecchiaia incipiente con solitudini e malattie ricostruisce più che un’autobiografia il profilo di una città, Trani, con le sue bellezze e le sue miserie, una città che l’autore ama/odia con tutta la passione di una persona nella sua interezza, e soprattutto le atmosfere di una generazione: lo stile è crudo, salace, vigoroso, vibrante di humour e di profonda nostalgia, denso di citazioni letterarie poetiche musicali che davvero ci fanno rimpiangere quei mitici anni Sessanta/Settanta quando pareva a portata di mano una totale palingenesi e i cuori dei giovani avevano il battito dell’infinito.
Bella prova di autore da leggere senz’altro.
Rileggere fa sempre bene e la scrittura stampata acquista più autorevolezza per il semplice fatto che è stata stampata e quindi definitiva.
Domenico di Palo è più conosciuto come poeta, saggista, pubblicista, direttore per molti anni di “Singolare/Plurale”, professore di liceo, polemista politico impegnato anche nell’amministrazione della sua Trani di cui è l’anima più solare, genuina, appassionata.
Renato, il protagonista della storia, sa di avere la forza di scrivere un romanzo: a dir la verità ne aveva già scritto uno di novecento pagine che però ha strappato dopo averlo letto agli amici e averne ricevuto i complimenti. Perché lo ha strappato? No, non era il romanzo che aveva in mente di scrivere. Comunica agli amici che ora è arrivato il momento di scrivere il romanzo del secolo. Intorno a quest’idea si raggrumano via via i ricordi della giovinezza, le tante idee per cambiare il mondo, la visione di come tutto sia diventato polvere e cenere, del degrado politico sociale intellettuale morale, in un continuo rimpallo fra presente e passato durante le conversazioni con l’amico Rinaldo, una sorta di alter ego che fa da input perché la memoria si materializzi in scrittura. Renato è ironico ed autoironico, è istrione narciso egocentrico, ma è anche appassionato, tenero, umano fino alle lacrime. Il suo andirivieni fra gioventù, infanzia di guerra, vecchiaia incipiente con solitudini e malattie ricostruisce più che un’autobiografia il profilo di una città, Trani, con le sue bellezze e le sue miserie, una città che l’autore ama/odia con tutta la passione di una persona nella sua interezza, e soprattutto le atmosfere di una generazione: lo stile è crudo, salace, vigoroso, vibrante di humour e di profonda nostalgia, denso di citazioni letterarie poetiche musicali che davvero ci fanno rimpiangere quei mitici anni Sessanta/Settanta quando pareva a portata di mano una totale palingenesi e i cuori dei giovani avevano il battito dell’infinito.
Bella prova di autore da leggere senz’altro.
Maria Marcone
*In
“Il giornale di Trani” del 28 aprile 2006, e in
“Puglia” del 21 aprile 2006.