LORENZO MARVULLI
Sembra di
vederli, al bar delle Tre Palme di Trani. Parlando di cinema e di
lirica, sottoponendosi a vicenda il questionario di Proust e bevendo
birra fredda nel sole. E’ una delle scene, vivida
perché ben descritta, entro cui si snoda il romanzo breve
“Renato e i giacobini” di Domenico di
Palo (Palomar, Bari 2006, pp. 160, euro 13). I giacobini sono un gruppo
di amici, ciascuno alle prese con le proprie passioni e con i propri
progetti, e Renato è chi li racconta, attraverso un
‘appassionata digressione tra vite private e accadimenti
storico-politici. L’autore del libro è un
insegnante e pubblicista tranese che, adottando la formula originale e
riuscita di scrivere un romanzo in forma di “appunti per un
romanzo”, racconta anni di storia immersi nelle atmosfere di
provincia del nordbarese, tra sogni e disillusioni.
Narrato interamente in prima persona, alternando meditazioni personali, dialoghi e riflessioni con una coscienza critica personificata (Rinaldo), Renato raccoglie memorie e fatti di se stesso e dei suoi amici. L’infanzia di Renato è in fuga dalla guerra, da Trani al Piemonte, fino a Firenze, a Roma e ritorno. Ma l’adolescenza è tutta tranese e la giovinezza è una festa. Una festa vissuta al fianco di un gruppo di amici – i giacobini appunto – intrisa di interessi letterari, musicali e politici. “Nel grigiore della vita di provincia – si legge tra le pagine – era molto facile essere catalogati come “gli intellettuali”, gli stravaganti che perdevano il tempo in chiacchiere e discussioni inutili. Ma quando cominciammo a sviluppare iniziative concrete, una decisa ostilità si creò nei nostri confronti, e la nostra festa finì”.
Iniziano così, minuziosamente raccontate tra critica e critica della critica, le esperienze politiche: dall’impegno e la ribellione dei primi anni Sessanta fino al caso Moro, per arrivare in un crescendo alla rassegnazione e alle partenze per il nord: uno a uno i giacobini abbandoneranno Renato. E anche Trani, nonostante l’impegno, le denunce, le lotte, diventerà “una città abbandonata alle forze dell’ignoranza e della speculazione”.
Di Palo firma così un libro appassionato e intriso di tangibile amarezza. Si concluderà, tra i dubbi, che a nulla vale la voglia di cambiare: “Le storie italiane hanno il ritmo di sempre. La stessa solfa, le stesse facce, gli stessi problemi, gli stessi intrallazzi, le stesse beghe paesane, gli stessi ammazzamenti… Di che lamentarsi allora? Perché questa fissazione di cambiare qualcosa anche da noi?” Leggendo vi chiederete con l’autore: “Tiriamo a campare e godiamoci la vita” è la soluzione?
Narrato interamente in prima persona, alternando meditazioni personali, dialoghi e riflessioni con una coscienza critica personificata (Rinaldo), Renato raccoglie memorie e fatti di se stesso e dei suoi amici. L’infanzia di Renato è in fuga dalla guerra, da Trani al Piemonte, fino a Firenze, a Roma e ritorno. Ma l’adolescenza è tutta tranese e la giovinezza è una festa. Una festa vissuta al fianco di un gruppo di amici – i giacobini appunto – intrisa di interessi letterari, musicali e politici. “Nel grigiore della vita di provincia – si legge tra le pagine – era molto facile essere catalogati come “gli intellettuali”, gli stravaganti che perdevano il tempo in chiacchiere e discussioni inutili. Ma quando cominciammo a sviluppare iniziative concrete, una decisa ostilità si creò nei nostri confronti, e la nostra festa finì”.
Iniziano così, minuziosamente raccontate tra critica e critica della critica, le esperienze politiche: dall’impegno e la ribellione dei primi anni Sessanta fino al caso Moro, per arrivare in un crescendo alla rassegnazione e alle partenze per il nord: uno a uno i giacobini abbandoneranno Renato. E anche Trani, nonostante l’impegno, le denunce, le lotte, diventerà “una città abbandonata alle forze dell’ignoranza e della speculazione”.
Di Palo firma così un libro appassionato e intriso di tangibile amarezza. Si concluderà, tra i dubbi, che a nulla vale la voglia di cambiare: “Le storie italiane hanno il ritmo di sempre. La stessa solfa, le stesse facce, gli stessi problemi, gli stessi intrallazzi, le stesse beghe paesane, gli stessi ammazzamenti… Di che lamentarsi allora? Perché questa fissazione di cambiare qualcosa anche da noi?” Leggendo vi chiederete con l’autore: “Tiriamo a campare e godiamoci la vita” è la soluzione?
Lorenzo Marvulli
* Nel “Corriere del
Mezzogiorno”, Giovedì 19 aprile 2007.