Domenico di Palo

GAETANO BUCCI


Alla fine della storia, ricomincia la storia. Quando la poesia muore, la poesia rinasce. Nell’epoca in cui tutto è “post”, l’originalità è “ante”. Quando tutto sembra finito non ci rimane che attendere speranzosi e salutare, talvolta, “nuovi inizi”. Forse non sarà la nietzschiana “trasmutazione di tutti i valori” ma una minimalistica e “debole”, per usare un aggettivo caro a Gianni Vàttimo, riaffermazione di quelli di sempre.
In letteratura, specie nella poesia, grazie, sostiene qualcuno, all’influsso esercitato prima da Martin Heidegger e poi da Hans George Gadamer, oltre che da una sempre viva intuizione di Umberto Eco, da anni e da più parti si registrano esegesi, ermeneutiche, “ri-elaborazioni” e nuovi inizi. Se tutto è stato detto, come pare che sia, allora rifacciamo la stessa strada. Ritroveremo anche noi l’autenticità “aurorale”.
Mimì di Palo ha cominciato molti anni fa a fare poesia attraverso “ri-creazioni” ardite, colte, “di-vertenti”. Un po’ per fare il verso ai grandi del passato - specie ai classici -, un po’ perché i temi della loro poesia non possono, come si diceva, che essere continuamente “ri-percorsi” e “ri-novati”. A proposito non possiamo non ricordare le raccolte “Sotto coperta” del 1997 e “Avanti ma…”  del 2001, anch’esse, in parte a loro modo, ascrivibili alla categoria della poesia “ri-visitazione”, alla poesia del “ri-cominciamento”.
Adesso, grazie a Mimì di Palo, ritroviamo due grandi temi: la donna e l’amore. Ecco i due pilastri della poesia italiana degli inizi, specie del “dolce stil novo”, che conservano tutto il loro antico fascino. Che ancora si presentano con immutata freschezza.
Mimì di Palo poeta finissimo, che ad essi è rimasto sensibile per tutta la vita, ce li ripropone oggi, avendo anche l’astuzia di assumerli “da” gli originali. Così accogliamo come un vero dono questo “Double-face”, breve raccolta di sonetti d’amore “da Guido Cavalcanti”, “da Francesco Petrarca” e “da Torquato Accetto” a cui si aggiungono altri componimenti svolti “variando e svariando” sul tema, ma sempre con gusto costruttivo, competenza linguistica e umor caustico.
Già dal titolo “Double-face” - unica e sola concessione francesista, necessitata forse dall’improponibile italiano A doppia faccia - e dal sottotitolo Poesie d’amore e disamore, si capisce quale sia il “gioco”; l’impegno e il “divertissement” a cui ci vuole condurre il carissimo Mimì.
La raccolta per la precisione si compone di sei - solo sei! -, componimenti d’amore doppî. Sei componimenti doppî che bastano… e avanzano. Perché tutti sono allo stesso modo intriganti, appassionanti, a tratti surreali, e in definitiva anche “ri-flessivi”.
Sin qui, tutto sommato e stando a quanto detto, niente di eccezionalmente nuovo, se non per l’ulteriore fatto - questo sì “strepitosamente originale” - di trovare, subito dopo, il “canto” il “controcanto”.
In questo Mimì di Palo è veramente unico. Egli, infatti, volge il tema iniziale nel suo esatto opposto. Egli è poeta efficace nell’accostare, anzi “dis-costare”, ogni forma positiva dell’amore e della donna in una negativa altrettanto credibile, affascinante e vera.
Se da un lato abbiamo l’amore che ci esalta dall’altra riscontriamo quello che ci deprime. Se per un verso abbiamo l’amore che ci illumina dall’altro abbiamo quello che ci rabbuia. Se in gioventù la donna suscita irrefrenabili passioni “sanguigne”, con gli anni la stessa suggerisce convenientissimi “addii alle armi”.
E, tanto per fare qualche esempio “testuale”, nei sonetti 1a e 1b (da Guido Cavalcanti) all’amore che “venìa sì dolce e con sì grande ardore” segue quello che “venìa sì crudo e con tale afrore”. Nel primo caso per i giovani amanti “niuna maldicenza facea romore”, nel secondo invece “ogni maldicenza facea romore”.
Il gioco di questa prima coppia di poesie “a doppia faccia” prosegue sempre più intrigante, appassionante e divertente.
Nei due sonetti 2a e 2b sempre (da Guido Cavalcanti) troviamo prima l’incontro d’amore salutato e definito “buona ventura”, e poi come “disavventura”. Nell’un caso il poeta canta: «Più Amor mi chiama più Amor mi fugge»; nell’altro così egli piange: «Più dolor mi chiama più dolor non fugge». Da notare l’uso della maiuscola, nel primo caso, per il nobile sentimento dell’amore e quello della minuscola, nel secondo, per il “tristo e molesto” sentimento del dolore.
Nel sonetto 2a, “infuocato”, il poeta “grida”: «Più lei mi ama e più non mi sfugge»; nel secondo, il 2b, “raggelato”, il poeta “lamenta”: «Più lei mi ama e più mi distrugge».
Anche nella coppia di sonetti 3a e 3b (da Francesco Petrarca) il tema dell’innamoramento si sprigiona e si svolge scoppiettante, tanto nella versione “bianca”, pura e verginale, che in quella “nera”, cupa e smaliziata.
Se nel primo sonetto, a cominciare dall’incipit, il poeta esalta con sperticate “benedizioni” il suo amore e, con esse, ripetutamente esulta, nel secondo tutto si svolge all’incontrario. Così, tra il serio ed il faceto, ritroviamo, con gusto ironico e autoironico, un profluvio di “maledizioni”, che, anche in questo caso, ci riportano alla mente il migliore, o peggiore, -dipende dai gusti- ser Cecco Angiolieri.
Il culmine in questa coppia di sonetti “a doppia faccia” si ha nei due endecasillabi che aprono la strofa finale. Infatti, il nobilissimo e mobilissimo verso: «Per lei ch’io volevo a tutte l’ore”, diventa un boccaccesco: «Per lei che lo vuole a tutte l’ore».
Non meno contrapposte e piacevolmente “schizoidi”, direi, sono i due sonetti 4a e 4b (da Torquato Accetto). Essi riguardano l’amore lungamente vissuto oltre la piena maturità.
Qui la donna nella versione “appassionante” riesce ancora a “consumare” il suo uomo-amante, nell’altra, diciamo così “appassita” (per far ricorso ad una consonanza), ciò non avviene affatto.
Coraggio sorridi e Coraggio resisti sono due testi sul tema dell’amore vissuto. Esso viene svolto nella forma del movimentato verso breve, ritmato e rimato della canzone. La soluzione è felicissima ma sempre “a doppia faccia”.
Così l’Autore prima sorride all’amor che tutto rinnova, poi resiste all’amor che tutto consuma. La donna, “divina creatura”, nell’un caso oblitera il tempo che passa, nell’altro è consumata dal tempo passato.
Anche la poesia par che resista. E pure - ci par che resista - quell’intimo gusto, tutto “coscienziale” e irriverente, di far poesia da parte di Mimì di Palo. Egli, infatti, fa poesia sui propri vissuti nel modo tutto antiretorico dell’ironia e dell’autoironia. E ci offre un esempio, ad un tempo leggero e profondo non solo dell’amore, ma anche delle cose del mondo.
Chiude la breve raccolta la coppia di poesie (6a) - Spiccato ho il senso e (6b) - Il senso più non ho… Qua l’opposizione si vede già dai titoli, che poi non sono che gli incipit di ciascun componimento.
Anche in questa coppia di poesie al centro ritroviamo l’amore e la donna. In questa conclusiva tenzone poetica i termini dialettici, tra il serio e il faceto, sono l’amore che “illude” e quello che “delude”, l’amore dello spirito, che sa conservarsi meglio, e quello del corpo, che col tempo si “affloscia”.
Qui le conclusioni sono veramente magnifiche. Esse sono per il lettore e, fors’anche, per lo stesso autore assolutamente “indecidibili”. Infatti, nel primo caso il poeta rivolgendosi alla donna dice: «E così ti ricreo nella fantasia / E più sei lontana più ti sento mia», mentre nel secondo: «E così che, senz’alcuna ipocrisia, / Più sei vicina più non ti sento mia».
A questo punto si chiude questa breve e originalissima raccolta di poesie dalla faccia di Giano, poesie bifronti come è un po’ nella sensibilità aperta, naturalmente dialettica dell’Autore, che, forse non a caso, scelse Singolare/Plurale quale titolo della testata giornalistica che per molti anni diresse a Trani.
Insomma, una bella raccolta breve questa che segue. In essa, in fondo, è possibile apprezzare  il meglio di Mimì di Palo poeta che si “rifà” agli inizi e ad autori oramai “classici” della letteratura italiana come Guido Cavalcanti, Francesco Petrarca e Torquato Accetto.
Lo stesso Mimì di Palo, double-face in senso filosofico - ovvero consapevole che la verità non sia mai assoluta e che la realtà abbia sempre  il suo rovescio - prova a “giocarci sopra” con i versi. Egli è certo convinto che nel movimento pendolare tra gli opposti si “svolge”, ab aeterno, la vita stessa. Così la poesia, il fare poesia di Mimì, non è altro che una fresca e disincantata metafora della vita.
Ancora una volta in lui emergono ingenuità e scaltrezza, pudore e sfrontatezza, virtù e vizio, incanto e disincanto, sobrietà e comicità, amor spirituale ed erotismo puro… e, in fondo in fondo, senso della vita e senso della morte.
Il primo non illude, il secondo non deprime.

                                                                                                                Gaetano Bucci

* Gaetano Bucci, prefazione a "Double-face", Bastogi Editrice Italiana, Foggia 2009

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