ENRICO BAGNATO
Una lucida prefazione di Maria Marcone introduce i versi che anche accompagna un commento “visivo” del pittore Ivo Scaringi che ha dato corpo a immagini di materico spessore e intensa emblematicità.
Una costante nei versi di Domenico di Palo è l’intento gnomico che spesso deborda in accenti di polemica ideologica, ma per lo più prende di mira aspetti e fenomeni di costume etico-politico e allora sbotta in pungente requisitoria contro un certo stile tartufesco di taluni cosiddetti “impegnati”; oppure contro chi “Incosciente o irresponsabile/ a tutt’oggi/ continua a disporre di se stesso”; o ancora contro chi “Pare che pensi/ quel tanto che basta/ per appartenersi”.
La passione civile e la tensione morale dettano al poeta quest’alta e pensosa epigrafe che s’incide nella coscienza di tutti noi che viviamo questo tempo di crisi: “La nostra fede muore nel silenzio/ e il male riemerge/ da chi se la cava ancora/ a buon mercato”.
Il tragico susseguirsi di stragi criminali che hanno insanguinato il nostro paese suscita nel poeta un grido, un roco e sordo epicedio per i vivi e per i morti: “E cosa ci resta da dire/ per non confondere i vivi/ con questi altri morti/ per non vedere queste bocche/ aprirsi ancora/ e la memoria farsi di ombre/ e l’amore inghiottito/ in una folla di lacrime/ e di sangue sempre fresco./ Cosa ci resta da dire/ se ogni giorno il delitto si ripete/ e la morte se ne viene/ biascicando l’insulto/ del cecchino fascista”.
Perspicuamente Giuliano Manacorda ha osservato come nei versi di Domenico di Palo “una liricità privata e un impegno politico si bilancino con molta equità”. Dell’impegno del Nostro abbiamo offerto qualche saggio; circa il “privato” dobbiamo notare che esso si esprime liricamente lungo direttrici diverse: da un realismo intimistico che si riflette in immagini dense di significati esistenziali (“E ci poggiammo al giorno/ come il gabbiano si poggia allo scoglio/ stanco di scrivere in cielo/ la sua domestica libertà”); al sentimento d’amore, variamente rappresentato; a recuperi di una memoria ironico-affettuosa di persone e luoghi che prendono un colore di strapaese (“Donna Maria,/ grazie tante per la vostra cortesia/ che, dopotutto,/ si fa per dire,/ mi costa soltanto dodicimila lire,/ pagate, s’intende,/ posticipatamente”).
Per concludere ci sembra che
Domenico di Palo sia un poeta interamente calato nella
realtà del suo tempo, e che sappia esprimerne le ansie e le
contraddizioni.
Enrico Bagnato
* In “Singolare/Plurale”, n. 2 (41), Trani 15 maggio 1985.