ENRICO BAGNATO
“Renato
e i giacobini” di Domenico di Palo (Palomar) è un
romanzo che assume la forma dell’antiromanzo. Nello
specifico, si tratta di un romanzo costituito dal suo stesso farsi.
“Renato e i giacobini” presenta due strutture, o se
si vuole, due linee di racconto che si alternano o intrecciano: una si
manifesta come un diario in pubblico dell’autore, anzi, per
trasposizione identitaria, di un alter ego dell’autore,
Renato Covelli, il quale si pone come io narrante;
dall’altro, i contenuti del diario, le rammemorazioni di
esperienze vissute dall’autore (qui riferite
dall’io narrante) vengono trattati come materia o argomento
di un romanzo che appunto si vuole comporre. Sicché il
discorso che si fa sul romanzo da farsi (i propositi e i dubbi
creativi, le intenzioni e le riflessioni che sospingono alla scrittura,
le discussioni e i consigli degli amici cui il narrante comunica il
progetto narrativo) e l’esposizione delle vicende che si
intendono raccontare, diventano il romanzo stesso.
L’intreccio e l’alternanza di queste due linee di
racconto ne disegnano in modo interessante il percorso, reso
più gradevole e vivace dalle frequenti incursioni ironiche e
autoironiche del protagonista che, dietro la maschera di un nome
d’invenzione, è il di Palo di cui sono noti ai
lettori degli altri suoi libri l’humour e la vis ironica.
Sembra questa dell’antiromanzo un’intelligente
trovata per trasformare quella che di fatto è
un’autobiografia in un romanzo. E’ una rievocazione
della vita politica e intellettuale degli ultimi sessant’anni
filtrata attraverso gli ideali, i sogni, le disillusioni d’un
protagonista che vive in un contesto di provincia (Trani), la cui
complessiva esperienza assevera una volta di più il detto
che chi da giovane è contestatore, muore democristiano. Ma
di Palo, previdentemente, interrompe il racconto un
po’ prima del fatale epilogo…
Enrico Bagnato
* In “La Vallisa” – quadrimestrale di letteratura e altro, AnnoXXV, n. 75, dicembre 2006.
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