ANGELO LIPPO
E’ esatto: il poeta di Trani non si abbandona alla sterile denuncia ma utilizza il linguaggio per arrivare al nocciolo dei problemi, che al Sud, per la verità, non sono stati e non sono mai pochi. Certo la “storia è di lunga durata”, ma al di là delle proposizioni estetiche, delle accensioni emotive, delle immaginarie sequenze che s’alternano nella condizione stessa dell’uomo-poeta, c’è come un raccolto e diffuso invito alla meditazione, a ripescare i nuclei centrali di una realtà e di una civiltà che altrimenti rischiano di precipitare nell’abisso dell’abulia.
Domenico Di Palo non si blocca dinanzi al fatto che gli “dicono/ che non abbiamo mai imparato/ a scrivere senza errori”, o dal pericolo di cedere all’invettiva populistica scrivendo “La marcia della pace”, perché il sentimento che lo spinge a scrivere è al di sopra dell’entità scrittoria e ha “valore” in quanto riesce ad incidere sulle coscienze. Ha colto il segno della realtà poetica di Di Palo Manacorda quando ha scritto che “non c’è dubbio che il corpo sostanziale della raccolta viene da un contatto diretto con le cose che stanno a cuore e che suggeriscono le parole, le quali per questo escono convincenti e originali”. E noi aggiungiamo che Di Palo riesce in tutto questo perché sa utilizzare bene l’arma dell’ironia (vedi la poesia “Mi facesti leggere i tuoi versi”) che emblematizza tutta una situazione culturale prima ed umana poi: il risultato più alto che un autore possa raggiungere.
Domenico di Palo, “La
bella sorte”, Prefazione di Maria Marcone – Disegni
di Ivo Scaringi – Editrice La Vallisa, Bari 1985, pagg. 141
– L. 10.000.
Angelo Lippo
*In “Il cittadino di Puglia”, Lecce 15 ottobre 1985; poi in “La Città”, Andria dicembre 1985.