Domenico di Palo

ANGELA PENSATO


“La bella sorte” di Domenico di Palo, rassegna poetica che comprende un arco di tempo che a detta dello steso poeta va dal 1960 ad oggi, percorre l’iter di un pensiero che, nell’evolversi, ha cercato di esprimere la sua condizione di uomo nel momento storico in cui vive ed il significato della sua libertà.

Il percorso emblematico condensa il vissuto che intende penetrare la vita dell’altro uomo per considerare come le circostanze e la storia lo hanno reso.

La sincerità dei sentimenti, espressi in una lingua dignitosa e in un equo bilancio di impegno politico e vita privata, testimoniano un iter umano che si esprime con quel bagaglio culturale che garantisce la serietà del lavoro.

Il corpo sostanziale della raccolta sintetizza esperienze personali che qualificano l’uomo nel contesto storico cui appartiene, e testimoniano il contributo ad una ideologia politica, mozzatrice infine di quegli ideali che l’avevano sostenuta.

A buon diritto il poeta non vuole apporre date perché la storia è per lui sintesi di ogni esigenza, è tappa di sempre nuove esperienze ed infine, col suo ripetersi, dimostra che la stessa vicenda dell’uomo non modifica nel tempo la sua realtà.

Le poesie si frantumano in piccole sillogi, ciascuna delle quali con il suo significato procede nel tempo e nella evoluzione.

La lotta politica ormai superata ha svuotato la energia fattiva ansiosa di qualificarsi. Il poeta crede nella solitudine dell’uomo cui restano i sogni e le illusioni, dei quali il più puro è l’amore. Qui il poeta dimentico degli affanni politici beve la natura e gode di un sorriso.

Ritorna poi la questione politica. Ma tastare il polso alla verità è amara delusione: la mancanza d’amore fra gli uomini crea quel bisogno di isolamento che nega persino la gioia di ascoltare il chiasso dei bambini per la strada.

Anche gli amici sono stanchi e delusi e più nessuno discute con passione. Il calendario avverte lo scorrere del tempo e se difficile è seppellire il male bisogna sempre ricominciare daccapo.

La vita va costruita e la marcia della pace avverte quel meglio che è nell’uomo.

Donne in scialli neri vedono, con le lacrime agli occhi, sfilare piccoli e grandi che cantano nei vicoli cupi esaltati dalla speranza che illude l’uomo.

Tuttavia il tempo umano è accettazione di una vita cosciente di non poter mutare le cose che hanno il loro svolgersi.

La fatalità meridionale osserva il condizionamento di tempi sempre uguali, per cui la stessa saggezza diventa essenza di vita e tutto trascorre senza mutamenti. Occorre solo coerenza. Il farsi quotidiano esige dunque equilibrio, ma la esigenza dell’amore rinnova. Anche se si è stanchi ed amari, le mani cercano nel buio quel conforto che rompe la solitudine.

Consumata l’esperienza, subentra la impotenza dell’uomo che con fermezza deve solo imparare ad amare la vita. Occorre misura, ma dalle sue meditazioni sbuca il poeta che vede un paesaggio infiammato e nel silenzio a due scopre, al lume di una candela morente, il cielo innalzarsi in un istante.

I momenti di elevazione spirituale sono i più interessanti nella poesia; poi ritorna il consueto per cui la regola del gioco rimane: saper vivere.

Che cos’è allora la bella sorte? E’ l’esperienza fatta sulla propria pelle. Vivere significa integrarsi, fare buon viso a cattivo gioco, avere un impegno per crearsi un’esistenza tranquilla.

La silloge si chiude con la figura di un padre, piccolo artigiano antico, semplice e pudico, cui la cultura destava paura. La sua modestia ha insegnato al figlio a vivere di amore e di verità, per conservare i propri alti ideali.

Il retroterra culturale garantisce al poeta una lingua essenziale, tagliente e dura, come la pietra della sua terra,

Altro elemento ricorrente è l’acqua, che il poeta prende a simbolo di purezza, ed il mare che ritorna nell’ala del gabbiano, che si poggia sullo scoglio, stanco di scrivere in cielo la sua domestica libertà.

Il poeta scorre il suo tempo, descrive la sua fede corrosa dagli eventi e ritesse la sua storia che è quella dell’uomo e a mano a mano si libera dal dolore per purificarlo in un umorismo sottile che di tutte le cose sa infine sorridere.
 

Angela Pensato

 

*Per la presentazione de “La bella sorte” all’Associazione Pugliese di Roma il 17 marzo 1987.

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